Una soldatessa si è tolta la vita pochi giorni or sono nella metropolitana della città di Roma. Un fatto analogo era già avvenuto nel febbraio del 2018, sempre in ambito militare.

È compito degli statistici avallare o meno l’ipotesi che vi sia correlazione tra le caratteristiche individuali e di professione dei soggetti coinvolti nel gesto estremo, avvenuto con modalità simili. Evito di soffermarmi sui significati circa il luogo ove si è svolto il fatto, chi vuole può approfondire: sono considerazioni che riguardano un’intimità individuale, dunque su questo e su altri dati degli eventi preferisco tacere.

Tuttavia è necessaria una considerazione generica ma significativa circa l’aspetto psichico. L’autosoppressione è una delle condizioni più particolari dell’esistenza umana in ambito sociale; si tratta di una circostanza in cui l’individuo vede che qualche aspetto che ritiene fondamentale è irrimediabilmente perduto, destinandolo ad una sorte per lui terribile ed insanabile.
In quell’individuo la certezza di non essere salvato porta alla condizione sicura di volersene andare, sfuggendo mentalmente ad un destino che egli vede segnato.

Si tratta di una reazione alla certezza di non poter risolvere un dramma che si vede incombente ed esprime la sostanziale e profonda sfiducia della possibilità di risolvere non un problema singolo ma il dramma dell’intera esistenza, destinata ad un disastro.

Dunque il suicidio viene percorso per evitare la sofferenza che si è certi di subire senza alcuna ipotesi di risoluzione. Lucidamente sappiamo molto bene che non è così, eppure in quella mente qualcosa si è interrotto, un flusso si è spento e tutto appare non rimediabile.

Deve far riflettere, tutto questo, su quanto sia complesso individuare una logica all’interno del disagio mentale in cui si esprime il suicidio. In esso molto
spesso si esprime un messaggio che parla, parla a gran voce: accusa sé stessi o la società, accusa il destino o qualunque altro aspetto dell’esistenza. In questo modo chi si toglie la vita urla il proprio patire anche quando non si rende conto di averlo fatto, nel togliersi la vita per terminare una agonia che ha ritenuto irrimediabile

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